Vinitaly 2015, quel vino 100/100 che non ti aspetti
di Marcello Malta
Mercoledì, ultimo giorno, ore 17. Pioggia e vento impazzano su Verona. È una di quelle giornate dove sai che hai terminato il “grosso”, il meglio del tuo programma di degustazioni. Vagabondi per gli stand della Toscana in cerca di qualche “tassello” da inserire in mosaico, consapevole che, dopo le visite di un paio d’ore trascorse alla “Doc Bolgheri” prima e al “Consorzio del Brunello di Montalcino” poi, ben poca carne da mettere al fuoco sarebbe rimasta. Ma il bicchiere migliore è sempre quello che non ti aspetti.
E infatti su un bancone mi appare sulla sinistra una bordolese con etichetta sabbia con blasone blu. Devo fermarmi. Ammetto, mi viene nuova. Mi attira, mi chiama. Leggo: Il Marroneto Brunello di Montalcino. “Perché non l’ho selezionato al Consorzio?” mi domando.
Incuriosito, mi presento e ne chiedo la degustazione. È una 2009, penultima vendemmia disponibile. Parte la descrizione dell’azienda, mentre il vino viene versato. La storia de “Il Marroneto”, antico essiccatoio per marroni (castagne) del 1246, comincia nel ’74 quando per gioco e per passione Alessandro Mori, membro di una famiglia di avvocati, inizia a produrre Brunello. Bottiglie poche.
Il vino non era ancora business e l’unico scopo dei vigneron era tradurre in profumi e sapori l’espressione di una terra, di una tradizione e di una natura estremamente generosa.
Oggi, a cantina ampliata, Alessandro Mori rinnega le logiche dell’estetica e dei preamboli, e sposa la razionalità, principio che premia la schietta filosofia di fare buon vino. Amore, attenzione e passione sono gli unici parametri vigenti. Ambiente ampio, austero, inserito in un declivio sassoso della parte nord di Montalcino a 400 metri slm.
Vigna governata con orientamento minimalista: niente erbicidi, niente fitofarmaci, solo zolfo per gli attacchi fungini.
Le viti, ormai, si autoregolano da sole. Rese basse di 40-50 quintali. Qualità alta.
Ogni pianta a cordone speronato ha a disposizione 3,6 metri quadrati e permette al Sangiovese di alimentarsi in superficie e di avere un ottimo radicamento.
Cinque ettari, tre vini (non sempre tutti gli anni), un vigneto Grand Cru, oltre trenta vendemmie. Un’azienda storica lambita da un terroir appropriato a vini imponenti ed eleganti. “Dove le torri di Siena fanno da sfondo alle vigne coltivate sulle collina di Montalcino”, così Mori ama definire il suo habitat. Il suolo, 70% sabbione di mare, è ricco di minerali. Pendenza ed esposizione garantiscono condizioni ottimali.
È qui che custodisce al suo interno botti grandi di rovere di Allier e di Slavonia, dove i suoi Brunelli affinano pazientemente, assieme ad un piccolo cuore, nascosto nel profondo, in cui le bottiglie storiche attendono pazientemente il trascorrere del tempo.
Il Marroneto Brunello di Montalcino 2009
Vinificazione e fermentazione in vasche d’acciaio con continui rimontaggi per circa 12 giorni. Invecchia 39 mesi in botte grande e 10 mesi in bottiglia. Mescita. Parte l’esame del bicchiere. Già da lontano si avvertono sentori maiuscoli, forti. Il colore? È un bel rubino/granato per nulla scarico. Al naso sprigiona sentori intensi di frutta croccante come ciliegia e prugna, subito acciuffati in corsa da quelli di mammola, cuoio, pellame, foxy, terra umida, speziatura forte e dolce insieme. Ruoti il bicchiere e il ventaglio di sensazioni si arricchisce di liquirizia, catrame, mineralità.
Alla gustativa accede con ingresso piacevole: la frutta rossa, annunciata al naso e ritrovata piacevolmente, cede la via ad una spiccata acidità e ad un maestoso tannino (ancora non ingentilito del tutto), presagio e certezza di lunga vita innanzi. Equilibrio, persistenza e complessità stanno su piani molto alti.
Risultato sbalorditivo. Mi colpisce. Ne richiedo altri 3-4 centilitri, stavolta per buttarlo giù.
E mentre mi complimento scorgo nel tavolo dietro una bottiglia ancor più bella. Chiedo lumi. È una “Riserva”. Anzi, un Grand Cru, mi dicono. Dal nome Madonna delle Grazie vendemmia 2009, dal nome della chiesetta del XIII secolo. Bella, sontuosa, imponente. Ha un’etichetta sabbia più scura con pergamena arrotolata ai quattro punti cardinali. Recita di essere la 8108ª bottiglia di 9239 prodotte. Ha 15% di titolo alcolometrico.
Ancora non so di stare per degustare un fuoriclasse. Appena pigiata l’uva viene lasciata completamente ferma per due giorni in tini di rovere. L’avvio della fermentazione è molto lento e la temperatura si mantiene bassa fino a raggiungere i 30 gradi dopo 5 giorni. Macerazione di 20-22 giorni con continui rimontaggi fino alla separazione delle bucce. Una tecnica, questa, utilizzata per esaltare la componente olfattiva e fruttata e per estrarre al massimo i tannini, il corpo, la struttura e la complessità che l’uva può dare.
Ce l’ho davanti. Non esito. Colore leggermente diverso dal precedente. Al naso è tanto più espressivo. Nuances di frutta rossa matura come gelso e ribes si mescolano a fiori di rosa canina, ciclamino e viola mammola. Tutte a cedere il passo a sfumare verso spezie, cuoio, terra, carruba, china, rabarbaro, mina di matita, senape, menta, cardamomo. È un’esplosione.
La bocca pareggia i conti sempre in crescendo: frutta, fiori, grande concentrazione, ampio, rotondo, largo, molto persistente. Ha acidità e tannini più composti, ma sempre tanto imponenti da annunciare una vita da Matusalemme. Sono colpito e affondato. Ancora in quattro giorni di Vinitaly non avevo beccato “il” vino da ricordare.
Mi rivolgo al direttore commerciale e spontaneamente, dopo aver chiesto del vino la seconda mescita, senza riflettere dico: “Io a questo vino do senza ombra di dubbio il mio personalissimo 100/100!”. Risposta: “Sa, gliel’hanno dato per davvero!”. E sì. Senza saperlo mi aveva anticipato (si fa per dire) quel guru di Robert Parker con il suo “The Wine Advocate”.
In realtà il giudizio gliel’ha dato Monica Larner, la corrispondente in Italia, e alla 2010. Ma se tanto mi dà tanto, tant’è. Quello di Parker e Larner è un rarissimo riconoscimento all’Italia del vino.
Un onore finora capitato solo a 5 grandi vini: Barolo Riserva Collina Rionda 1989 di Bruno Giacosa, Barolo Riserva Monfortino 2004 di Giacomo Conterno, Le Pergole Torte Riserva 1990 di Montevertine, Redigaffi 2000 di Tua Rita, e il noto Tenuta San Guido Sassicaia 1985 dell’azienda simbolo di Bolgheri. Oltre ai 100/100 di Parker, il “Madonna delle Grazie” con l’encomiabile punteggio di 99/100 conquista in assoluto (Bordeaux compreso) la posizione n° 1 della “The Wine Enthusiast Buying Guide” pubblicata nel numero di maggio 2015 della celebre rivista americana.
A fargli compagnia sul podio, in seconda posizione, manco a dirlo, il Brunello “Il Marroneto” 2010 con 97/100.
È proprio vero quanto afferma quel detto latino: il dolce giunge alla fine del pranzo.
Ma che bella recensione! Ti ricordi? C’ero anche io